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Urgenza Sanità: Cittadinanzattiva in piazza a Roma

In occasione della mobilitazione di Cittadinanzattiva il giorno 11 maggio 2023 di fronte al Ministero della Salute, dove è stato presentato il rapporto annuale del Tribunale per i diritti del malato, centinaia di volontari sono giunti a Roma da ogni regione d’Italia, con una numerosa delegazione di Cittadinanzattiva Toscana, guidata dal Segretario Regionale Filippo Alberto La Marca.

     

Nella giornata è stato presentato presso il Ministero della salute il presentato “Rapporto civico sulla salute 2023” e diffuso il seguente comunicato stampa.

 

URGENZA SANITÀ: presentato da Cittadinanzattiva il “Rapporto civico sulla salute 2023”. 

La sofferenza dei cittadini in uno stato di emergenza sanitaria. E cinque chiavi per provare ad uscirne.

Il Rapporto, il Manifesto e le iniziative a difesa del SSN sono disponibili su www.cittadinanzattiva.it

 

Terminata l’emergenza pandemica, i cittadini si trovano a fare i conti più di prima con le conseguenze di scelte improvvide che durano da decenni: lunghissime liste di attesa, pronto soccorso allo stremo, medici di medicina generale assenti in molte aree non per nulla definite “deserti sanitari”. Il ricorso alla spesa privata aumenta ed è incompatibile con un sistema universalistico, oltre a essere possibile solo se le condizioni economiche dei singoli lo permettono. Per molte cittadine e molti cittadini l’attesa si è trasformata in rinuncia. 

Sono le tante urgenze sanità che Cittadinanzattiva fotografa nel Rapporto civico sulla salute 2023, presentato oggi a Roma presso il Ministero della Salute. Quest’anno il Rapporto viene diffuso all’interno di una giornata più generale dal titolo appunto “Urgenza sanità”, un primo momento pubblico della mobilitazione permanente promossa da Cittadinanzattiva a difesa del Servizio Sanitario Nazionale. Dopo la presentazione del Rapporto, dalle ore 14 gli attivisti dell’organizzazione provenienti da numerose regioni scenderanno in piazza davanti al Ministero per manifestare le urgenze sanitarie dei loro territori. Altre iniziative si svolgeranno a livello locale anche nei prossimi giorni.

“I dati presentati in questo Rapporto e le storie che le persone raccontano ai nostri attivisti sul territorio, ci mettono nella urgenza di proclamare come cittadini lo stato di emergenza sanitaria e una mobilitazione permanente a difesa del nostro SSN, come annunciamo nel nostro Manifesto e nella petizione su Change”, dichiara Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva. “Per superare l’Urgenza Sanità chiediamo che siano riaffermate cinque condizioni, cinque chiavi di accesso alla casa comune del Servizio Sanitario Nazionale: l’aggiornamento periodico e il monitoraggio costante dei Livelli essenziali di assistenza che devono essere garantiti ed esigibili su tutto il territorio nazionale; l’eliminazione delle liste di attesa, attraverso un investimento sulle risorse umane e tecniche, una migliore programmazione e trasparenza dei vari canali, un impegno concreto delle Regioni per i Piani locali di governo delle liste di attesa; il riconoscimento e l’attuazione del diritto alla sanità digitale per ridurre la burocrazia, comunicare meglio con i professionisti e accedere a prestazioni a distanza; la garanzia di percorsi di cura e di assistenza dei malati cronici e rari e, in particolare, delle persone non autosufficienti, finanziando la nuova legge per gli anziani non autosufficienti e riprendendo l’iter normativo per il riconoscimento dei caregiver; l’attuazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR, con il coinvolgimento delle comunità locali e dei professionisti del territorio”.

Il Rapporto civico sulla salute, alla seconda edizione, integra i dati provenienti dalle 14.272 segnalazioni dei cittadini, giunte nel corso del 2022 alle sedi locali e ai servizi PIT Salute di Cittadinanzattiva, con dati provenienti da fonti istituzionali, accademici o della ricerca. L’obiettivo è mostrare come si traduce oggi il diritto alla salute dei cittadini nel complesso sistema del federalismo sanitario. 

Accanto ai mai risolti problemi generali di liste di attesa e accesso alle prestazioni (che raccolgono quasi una segnalazione su tre, 29.6%), i cittadini denunciano carenze in tutti e tre gli ambiti dell’assistenza sanitaria, ossia quella ospedaliera (15,8%), quella territoriale (14,8) e l’area della prevenzione (15,2%). Al quinto posto la sicurezza delle cure (8,5%).  Seguono le segnalazioni su accesso alle informazioni e documentazioni (4,5%), assistenza previdenziale (2,8%), umanizzazione e relazione con operatori sanitari (2,6%), spesa privata e ticket elevati (1,7%) e assistenza protesica e integrativa (1,4%).  

A crescere rispetto al 2021, sono soprattutto le problematiche che riguardano l’accesso alle prestazioni (+5.8%) e quelle legate all’assistenza in ospedale (+4,4%).

 

URGENZA LISTE DI ATTESA E RINUNCIA ALLE CURE

Due anni per una mammografia di screening, tre mesi per un intervento per tumore all’utero che andava effettuato entro un mese, due mesi per una visita specialistica ginecologica urgente da fissare entro 72 ore, sempre due mesi per una visita di controllo cardiologica da effettuare entro 10 giorni. Sono alcuni esempi di tempi di attesa segnalati dai cittadini che lamentano anche disfunzioni nei servizi di accesso e prenotazione, ad esempio determinati dal mancato rispetto dei codici di priorità, difficoltà a contattare il Cup, impossibilità a prenotare per liste d’attesa bloccate. 

Tempi di attesa per prime visite specialistiche: per le visite che hanno una Classe B-breve (da svolgersi entro 10 giorni) i cittadini che ci hanno contattato hanno atteso anche 60 giorni per la prima visita cardiologica, endocrinologica, oncologica e pneumologica. Senza codice di priorità, si arrivano ad aspettare 360 giorni per una visita endocrinologica e 300 per una cardiologica.

Tempi di attesa per visite specialistiche di controllo: Una visita specialistica ginecologica con priorità U (urgente, da effettuare entro 72 ore) è stata fissata dopo 60 giorni dalla richiesta. Per una visita di controllo cardiologica, endocrinologica, fisiatrica con priorità B (da fissare entro 10 giorni) i cittadini di giorni ne hanno aspettati 60.  Per una visita ortopedica, sempre con classe d’urgenza B ci sono voluti addirittura 90 giorni.  Una visita endocrinologica senza classe di priorità è stata fissata dopo 455 giorni, dopo 360 giorni una visita neurologica.

Tempi di attesa per prestazioni diagnostiche: ci sono stati segnalati 150 giorni per una mammografia, con classe di categoria B breve (da svolgersi entro 10 giorni), e 730 giorni sempre per una mammografia ma con classe di categoria P (programmabile), 365 giorni per una gastroscopia con biopsia in caso di classe non determinata.

Tempi di attesa per interventi chirurgici: per un intervento per tumore dell’utero che doveva essere effettuato entro 30 giorni (Classe A), la paziente ha atteso 90 giorni, 3 volte tanto rispetto ai tempi previsti. Per un intervento di protesi d’anca, da effettuarsi entro 60 giorni (classe di priorità B), c’è stata un’attesa di 120 giorni, il doppio rispetto al tempo massimo previsto. 

La quasi totalità delle Regioni non ha recuperato le prestazioni in ritardo a causa della pandemia, e non tutte hanno utilizzato il fondo di 500 milioni stanziati nel 2022 per il recupero delle liste d’attesa. Non è stato utilizzato circa il 33%, per un totale di 165 milioni. I dati raccontano che il Molise ha investito solo l’1,7% di quanto aveva a disposizione, circa 2,5 milioni. Male anche la Sardegna (26%), la Sicilia (28%), la Calabria e la Provincia di Bolzano (29%). 

Dalle indagini Istat si rileva nel 2022 una riduzione della quota di persone che ha effettuato visite specialistiche (dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022) o accertamenti diagnostici (dal 35,7% al 32,0%) – nel Mezzogiorno quest’ultima riduzione raggiunge i 5 punti percentuali. Rispetto al 2019 aumenta la quota di chi dichiara di aver pagato interamente a sue spese sia visite specialistiche (dal 37% al 41,8% nel 2022) che accertamenti diagnostici (dal 23% al 27,6% nel 2022).

Il ricorso a prestazioni sanitarie avvalendosi di copertura assicurativa sanitaria risulta più diffuso nel Lazio (nel 2022 il 10,8% delle persone dichiara di averne fatto ricorso in caso di visite specialistiche), in Lombardia (9,7%), nella Provincia autonoma di Bolzano (9,1%) e in Piemonte (8,1%); si attesta intorno al 5% in Liguria, Emilia Romagna e Toscana, mentre nelle regioni del Mezzogiorno copre in media solo l’1,3% per le visite specialistiche.

 

URGENZA PRONTO SOCCORSO

Le segnalazioni più ricorrenti riguardano: eccessiva attesa per effettuare o completare il triage (18,9%) pronto soccorso affollato (15,4%), carente informazione al paziente o al familiare (9,8%), mancanza di posti letto in reparto per il ricovero (9,2%), mancanza del personale medico (8,7%), pazienti in sedia a rotelle o in barella lungo i corridoi per ore/giorni (7,5%). 

Negli ultimi 10 anni facciamo i conti con una riduzione costante e cospicua delle strutture di emergenza: si conta una riduzione sul territorio nazionale di 61 dipartimenti di emergenza, 103 pronto soccorso, 10 pronto soccorso pediatrici e 35 centri di rianimazione; per quanto riguarda le strutture mobili negli ultimi 10 anni abbiamo avuto una riduzione di 480 ambulanze di tipo B, un incremento di sole 4 ambulanze di tipo A (ma nel 2019 il decremento rispetto al 2010 era di 34 unità), un decremento di 19 ambulanze pediatriche e di 85 unità mobili di rianimazione.

A livello regionale vi sono delle realtà con delle percentuali sicuramente più esigue e sotto la media sia per la presenza di DEA sia di pronto soccorso; è l’esempio di Basilicata (22,2% di DEA e PS), Calabria (43,5% di DEA e 69,6% di PS), Molise (20% DEA e 60% PS).

Anche rispetto alla tempestività dell’arrivo dei mezzi di soccorso, la situazione è peggiorata significativamente e in modo preoccupante; è il caso della Calabria in cui il mezzo di soccorso arriva mediamente in 27 minuti, Basilicata 29 minuti e Sardegna 30 minuti, quando la media nazionale è di circa 20 minuti.

URGENZA PREVENZIONE

Sono sei le regioni (erano tre nel 2019) che non raggiungono la sufficienza rispetto ai criteri LEA per la prevenzione: in particolare a Sicilia, PA di Bolzano e Calabria, che mostrano i dati più bassi, si aggiungono nel 2020 Liguria, Abruzzo, Basilicata. 

Vaccini. Aumentano le coperture per morbillo, varicella, meningococco c, ma diminuiscono nella stagione 2021-22 quelle per il vaccino antinfluenzale soprattutto negli anziani, la cui copertura scende di ben 7 punti percentuali rispetto alla stagione precedente (58,1%). In particolare sono la P.A di Bolzano e Trento, la Valle d’Aosta, e la Sardegna ad avere i dati di copertura più bassi. Le migliori risultano la Basilicata (68,5) e l’Umbria (68,8%). Chi mostra i dati peggiori è la P.A di Bolzano (36,1%) e Sardegna (41,2%).

La copertura vaccinale nazionale per HPV nelle ragazze nella coorte più giovane (2009), che compiono 12 anni nell’anno di rilevazione, è al 32,22%, nessuna Regione o PA raggiunge il 95%; idem per la copertura nazionale nei ragazzi nati nel 2009 che è appena al 26,75%.

Screening oncologici. Calano nel 2020 gli inviti per gli screening organizzati: -29% per quello mammografico, -24% per quello colorettale e per il cervicale. La riduzione negli inviti si registra soprattutto al Nord mentre in generale è al Sud che le percentuali di adesione agli stessi restano le più basse: per lo screening mammografico fanalino di coda sono Calabria (9% di adesione) e Campania (21%); per il colorettale Calabria (2%) e Puglia (5%); per lo screening per il tumore alla cervice Campania (13%) e Calabria (31%). 

 

URGENZA PERSONALE SANITARIO: i dati di una nuova indagine su 10mila professionisti

10mila operatori sanitari appartenenti a venti categorie professionali hanno partecipato alla prima indagine condotta da Cittadinanzattiva, in collaborazione con FNOPI e FNO TSRM e PSTRP, con l’obiettivo di sondare le motivazioni dei professionisti a restare o lasciare il SSN. L’8% dei professionisti coinvolti nell’indagine è relativo ad infermieri ed infermieri pediatrici appartenenti alla FNOPI, il 92% aderisce alla FNO TSRM e PSTRP, dietro queste sigle ben 18 professioni sanitarie: quelle che hanno maggiormente contribuito alla survey sono educatori professionali (15,4%), tecnici sanitari di radiologia medica (13,7%), tecnici di laboratorio biomedico (12,8%), logopedisti (9,6%), tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro (6,2%), igienista dentali (4,6%), dietisti (4,2%), assistenti sanitari (4,1%).

Oltre il 46% afferma di essere soddisfatto del proprio percorso professionale, ma non altrettanto del proprio ambiente di lavoro che stimola poco o niente la realizzazione personale (per il 42,6%) e la crescita professionale (48,5%)

Oltre il 40% dichiara di avere carichi di lavoro insostenibili e uno su tre non riesce affatto a bilanciare i tempi lavorativi con quelli della vita privata. Il 31,6% denuncia di essere stato vittima, negli ultimi tre anni, di aggressione (verbale o fisica) da parte degli utenti, il 20,7% da parte di un proprio superiore e il 18,4% da parte di colleghi. E l’assenza nel posto di lavoro di un punto di ascolto psicologico è lamentata in particolare dal 65,9% degli intervistati. 

Nonostante queste difficoltà, i professionisti sanitari credono fermamente nel valore del SSN e nella salute come bene pubblico: la maggioranza si sente orgogliosa di contribuire personalmente a dare risposta ai bisogni sociali e sanitari del cittadino (66,9%) e quindi di poter contribuire al benessere della comunità (71,6%). Soprattutto, la maggioranza (83,5%) crede che ogni persona debba avere diritto alle cure di cui ha bisogno indipendentemente dalla gravità delle patologie o dal costo delle cure. Ciò detto, gli interpellati si dividono a metà tra chi sente di essere parte di un sistema che garantisce cure sanitarie a tutti i cittadini indipendentemente dalla loro condizione economica e sociale (46,9%) e chi non ci crede (53,1%), e praticamente solo uno su due si sente parte di un’organizzazione che tutela l’interesse pubblico (52,1%) e l’equità sociale (47,9%). 

 

URGENZA ASSISTENZA TERRITORIALE: un focus su assistenza domiciliare, consultori, servizi di salute mentale 

Assistenza domiciliare integrata. Ad oggi in Italia meno di 3 anziani over 65 su 100 è inserito in percorsi di ADI, con una forbice tra le diverse aree del paese che va da meno dell’1% in Molise, Valle d’Aosta e Provincia aut. di Bolzano, al quasi 5% (in Abruzzo). Dati decisamente più bassi rispetto alla maggior parte dei Paesi europei, mentre in controtendenza in Italia si mantiene stabile o in crescita il numero di posti letto in residenze sanitarie assistenziali. Combinando i servizi resi in ADI e le cure residenziali, si evince come diverse Regioni italiane riescano ad offrire assistenza a più di un anziano su 6. 

Particolarmente difficoltosa la fase di attivazione dell’assistenza domiciliare, come denuncia quasi il 34% dei cittadini che si rivolge a Cittadinanzattiva. Il 21% ritiene insufficiente il numero di giorni/ ore di assistenza erogati insufficienti, il 17% inadeguata la gestione del dolore (17,4%), l’8% carente l’assistenza psicologica. 

Consultori familiari. Istituiti nel 1975, l’attuale Decreto di riforma dell’assistenza territoriale ne prospetta un rilancio prevedendone 1 ogni 20.000 abitanti con possibilità di 1 ogni 10.000 nelle aree interne e rurali. La situazione attuale è molto diversificata nei territori. In Italia ci sono 2.227 consultori attivi a fronte di uno standard minimo di 2.949: rispetto alla popolazione, il rapporto medio è di 1 ogni 35 mila residenti, nel 2008 era 1/28.000, nel 1993 era di 1/20.000. Dunque numeri in costante decrescita per un servizio centrale per la prevenzione e la promozione della salute, soprattutto per le giovani generazioni e per le donne. Solo in 5 Regioni e una Provincia autonoma – Valle D’Aosta, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Basilicata e PA di Bolzano – il numero medio di residenti è compreso entro i 25.000, mentre in 6 Regioni ed una Prov. Aut.– Lombardia, Veneto, FVG, Lazio, Molise, Campania e PA di Trento – il numero medio è superiore a 40.000 residenti per consultorio, che quindi copre un bacino di utenza più che doppio rispetto a quanto previsto dal legislatore. 

Anche a livello di composizione delle equipe che vi lavorano, il quadro è assai variegato: la disponibilità della figura del ginecologo varia da 5,4 (PA Bolzano) a 22,4 ore a settimana (Emilia-Romagna) mentre quella dell’ostetrica da 12,4 (Liguria) a 80 ore (PA Trento). Le ore settimanali dello psicologo variano da 1,9 (Piemonte) a 31,2 (Lombardia) mentre quelle dell’assistente sociale da 0 (Valle d’Aosta) a 29,8 (Basilicata). 

Diversificato anche il numero di ore e i giorni in cui i servizi restano aperti: le medie più basse, 22-26 ore a settimana, si registrano per le strutture di Piemonte, Toscana, Umbria, Marche e Basilicata, mentre quelle più elevate, 35-37 ore settimanali, si registrano in Lombardia, PA di Trento, Molise e Calabria. Complessivamente il 10,2% è aperto di sabato, era il 14% nel 2008. In Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Campania questa modalità è del tutto assente ed è poco diffusa in Piemonte, Veneto, Lazio, Sicilia e Sardegna. La quasi totalità dei consultori del Nord, Centro e Sud, svolge attività nell’ambito della salute della donna; le attività nell’area adolescenti/giovani e nell’area coppia/ famiglia e adozioni sono riportate con percentuali più basse soprattutto nelle strutture del Centro mentre in più dell’80% del Sud si effettua attività in tutte e tre le aree.

Salute Mentale. Su cento segnalazioni ricevute da Cittadinanzattiva in tema di assistenza territoriale, il 27,8% di esse fa esplicito riferimento alla salute mentale, in forte aumento rispetto al dato del 2021 pari al 12,8%. Le segnalazioni delineano uno scenario di crescente deficit strutturale dei servizi di salute mentale: l’assenza o quanto meno la palese carenza di intervento del servizio pubblico fa sì che la gestione se non proprio la cura del paziente psichiatrico sia demandata in moltissimi casi interamente alla famiglia. Le segnalazioni più frequenti nell’ambito della salute mentale raccontano le grandi difficoltà che gravano sui pazienti e sule loro famiglie, se non proprio la disperazione per la gestione di una situazione ormai diventata insostenibile a livello familiare (lo denuncia quasi il 28%), la carenza di figure sanitarie sul territorio (17%), la scarsa qualità dell’assistenza (14,4%), la mancanza o carenza di strutture e centri pubblici (10,8) lo strazio legato alle procedure di attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (9%), gli effetti delle cure farmacologiche (8,1%), la difficoltà di accesso alle cure pubbliche (4,5%).

 

URGENZA PNRR. Online una piattaforma interattiva su Case ed Ospedali di Comunità

Grazie ad una collaborazione tra Cittadinanzattiva e Fondazione Openpolis, è stato avviato un monitoraggio sul tema dell’assistenza territoriale a partire dalla mappatura degli interventi previsti dal PNRR. Il lavoro si è basato sulla raccolta dei dati sui singoli interventi previsti dai contratti istituzionali di sviluppo stipulati dal Ministero della salute e dalle singole Regioni. Questi sono stati successivamente georeferenziati e arricchiti con ulteriori informazioni estratte da siti istituzionali e documenti pubblici. La fotografia è contenuta in un report pubblicato da Openpolis e da Cittadinanzattiva “Il PNRR e la sanità territoriale”, navigabile nei suoi focus regionali al seguente link https://openpnrr.it/tema/medicina-territoriale/ (piattaforma OpenPNRR). I dati disponibili sulle Case e gli Ospedali di Comunità ci permettono di verificare che, come previsto dal PNRR, la programmazione e la collocazione delle strutture ha rispettato gli standard previsti dalla riforma del DM 77/22: avremo una Casa della Comunità hub ogni 40.000-50.000 abitanti, mentre con un numero inferiore di abitanti è stata prevista una Casa spoke. Ma dai dati è altrettanto chiaro che ci saranno molti territori soprattutto appartenenti ad aree interne che, caratterizzati da un numero basso di abitanti, rimarranno senza questo servizio. Il modello previsto dalla riforma del DM 77/22 non riesce a tenere conto delle differenze territoriali. La prossimità in alcuni territori richiede di integrare le strutture con la loro digitalizzazione (COT e la telemedicina), di valorizzare quello che già è disponibile nei territori, adottando un approccio di comunità.

 

 

 

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