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Convivere con il dolore e la mancanza del buon senso

L’appello di una donna che soffre di dolore cronico

 

Per dimostrare l’assurdo che sto vivendo a causa di mancanza di coerenza e consapevolezza nello stabilire regole comuni, pongo alla vostra attenzione innanzitutto quanto menzionato nel vocabolario della lingua italiana per spiegare il significato del termine “CRONICO” in medicina:

Cosa vuol dire Cronico in medicina?

Origine:

Dal lat. chronĭcus, dal gr. khronikós, der. di khrónos ‘tempo’ •sec. XVI.

Partendo quindi dall’etimologia, nel linguaggio parlato questo termine viene utilizzato per definire qualcosa che persiste nel tempo.

In realtà, in medicina, acquista un’accezione più complessa: quella di permanente, inguaribile, incurabile, irreversibile.

Da wikipedia:

Una malattia cronica è una malattia che presenta sintomi che non si risolvono nel tempo né giungono a miglioramento. Anche secondo la definizione della National commission on chronic illness, sono croniche tutte quelle patologie “caratterizzate da un lento e progressivo declino delle normali funzioni fisiologiche”.

Pur con marcate differenze fra ciascuna patologia, per un malato cronico generalmente è possibile trattare i sintomi, ma non curare la malattia. Le patologie croniche vanno dalle cardiopatie, ai tumori, alle patologie gastriche o intestinali, neurologiche, muscolo-scheletriche, e così via. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le malattie croniche costituiscono la principale causa di morte in quasi tutto il mondo, in Europa sono causa di circa l’86% dei decessi.

Secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni Italiane pubblicato nel 2019, le patologie croniche hanno interessato quasi il 40% degli italiani e 12,5 milioni di questi hanno avuto una multi-cronicità. Le proiezioni sulla cronicità indicano che tra 5 anni, nel 2028, il numero di malati cronici salirà a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni. In particolare, per l’ipertensione arteriosa e per l’artrosi/artrite che sono tra le patologie più frequenti, ci si attende 1 milione di malati in più tra 5 anni, con quasi 12 milioni di persone affette da ipertensione nel 2028 e 11 milioni per l’artrosi/artrite.

In Toscana sono circa 1 milione e 450 mila i cronici, ovvero 444,8 ogni 1.000 abitanti con 16+ anni. Circa 6 su 10 hanno più di 65 anni e il 54% sono donne. Dopo i 65 anni la prevalenza sale a 759,1 malati ogni 1.000 abitanti.

Numericamente l’incidenza di queste patologie è molto superiore a quella delle malattie rare.

Le malattie croniche costituiscono la principale causa di morte quasi in tutto il mondo.

Secondo l’OMS, in Europa, le malattie croniche provocano almeno l’86% dei morti e il 77% del carico di malattia. Sempre secondo l’OMS, le patologie croniche assorbono il 70-80% delle risorse sanitarie, ma l’Italia e tra i paesi più colpiti, essendo il secondo Paese più “vecchio” al mondo.

Sono consapevole di quanto ho scritto, anche perché faccio parte di quei 12,5 milioni di persone che hanno avuto una diagnosi di multi-cronicità, che non guarirò mai più, perché appunto rientro in quel termine descritto sopra: caratterizzate da un lento e progressivo declino delle normali funzioni fisiologiche”.

 

Risvolti psicologici

Nel momento in cui un paziente riceve la diagnosi di una malattia cronica mette in atto un processo adattivo il cui scopo è quello di farlo convivere con la sua malattia nella modalità più consona possibile, tenendo conto delle ripercussioni fisiche, psicologiche e sociali, nonché delle possibili ricadute che caratterizzano l’andamento del processo stesso. Il modello di elaborazione del lutto proposto da Kubler-Ross, che prevede 5 fasi (negazione, collera, patteggiamento, sconforto e accettazione), è per certi versi paragonabile al processo adattivo di cui sopra. Sentimenti negativi quali il rifiuto, la rabbia, il distacco emotivo, la resa, che possono sfociare anche in gesti autolesionisti, vengono ad essere sostituiti gradualmente dalla ricerca di comportamenti che possano in qualche modo alleviare il senso di sconforto e di sconfitta sperimentati.

Solo dopo aver trovato il giusto equilibrio tra sé e l’evento negativo, in questo caso la diagnosi di malattia cronica, il paziente riuscirà ad accettare la convivenza con la malattia. Nel processo di ristrutturazione della personalità del paziente, che a che fare anche con l’integrazione della “nuova immagine corporea ammalata“, vi sono dei fattori che vanno presi in considerazione (capacità adattive, ambiente familiare e sociale, caratteristiche proprie della malattia) e nel caso in cui la malattia dovesse insorgere in età evolutiva, un fattore da non sottovalutare poiché potrebbe incidere sulla strutturazione della personalità, è la fase evolutiva specifica in cui la malattia insorge.

Alcune ricerche evidenziano che nei bambini più piccoli, il peso psicologico relativo alla malattia è influenzato dall’atteggiamento che le figure di riferimento del paziente assumono dal momento della diagnosi; ciò avviene perché i bambini non sono in grado di elaborare a livello cognitivo la loro malattia.

Le malattie croniche sono un “attacco all’identità, corporea e sociale”, ci mettono improvvisamente davanti ai nostri limiti: ci rallentano, diminuisce l’efficienza, dobbiamo a volte fermarci temporaneamente, cambiare i ritmi quotidiani. Sono un ostacolo alla realizzazione di progetti e al raggiungimento di obiettivi.

Possiamo provare sensi di colpa e percepirci come un peso per gli altri, famiglia, amici e colleghi, se bambini o adolescenti sentirci diversi dai coetanei, vergognandoci e nascondendo la condizione.

Si possono alternare vissuti ed emozioni quali il rifiuto, la rabbia, il distacco emotivo, lo sconforto, la tristezza, la disperazione con comportamenti opposti dal ritiro per la sconfitta esistenziale subita, alla sfida della propria patologia, ad esempio non assumendo o con discontinuità la terapia farmacologica prescritta o non attenendoci alle indicazioni raccomandate per lo stile di vita.

Possono emergere sintomi di tipo ansioso-depressivo, il che non fa che aggravare una situazione già molto compromessa.

Gli altri a volte dubitano sulle reali ricadute e ripercussioni fisiche delle malattie non direttamente “visibili” all’esterno.

Mi scuso con tutti voi, per essermi dilungata così tanto sull’argomento “cronicità” ma, era doveroso.

Personalmente vivo questa condizione, in realtà sono una di quei pazienti che rientrano nella categoria della multi-cronicità. Sì, perché purtroppo mi sono state diagnosticate un lungo elenco di malattie croniche. Non preoccupatevi, però, l’elenco ve lo risparmio, è faticoso per me sia scriverlo che ricordarmelo. Ma le mie malattie me le sento addosso tutte.

Ho deciso di scrivervi questa mia, nella speranza, dolori permettendo, di un incontro, con il mio Dirigente, il mio Direttore Generale, tutte le sigle sindacali e il Medico Competente dell’Azienda o un suo rappresentante vis-a-vis, per cercare di trovare una soluzione alle richieste annuali di una certificazione, da parte del dipendente che avanza richiesta di telelavoro per gravi motivi, per confermare lo stato di gravita cronica.

La Regione Toscana si è sempre dimostrata Regione sensibile ai temi della disabilita e cronicità e desidererei che lo dimostrasse ancora una volta nel cercare di trovare una soluzione alla modifica di alcuni punti del documento sulla disciplina del telelavoro.

Non riesco a comprendere perché un dipendente che presenta domanda di telelavoro per gravi motivi, certificando la gravità con tanto di documentazione da parte degli specialisti, periodicamente si attiene a quello che sono le regole del Testo Unico Sulla Salute e Sicurezza Sul Lavoro, periodicamente, con richieste di visite straordinarie presso il Medico Competente dell’Azienda, fa in modo di informare l’Azienda sulle proprie condizioni si salute, debba necessariamente comprovare il suo stato di multi-cronicità ogni anno.

Semplificare, snellire, nella Pubblica Amministrazione, sono solo “termini” tirati fuori quando occorrono ma, in realtà non si fa nulla di concreto per evitare passaggi procedurali, controlli e adempimenti inutili.

Per semplificazione amministrativa, per come l’ho compresa io, vuol dire eliminare tutto quello che è superfluo o addirittura dannoso per un buon funzionamento dell’amministrazione.

Ecco che allora mi chiedo continuamente, perché io affetta da malattie croniche e degenerative, io che per definizione non guarirò MAI, devo, ogni anno dimostrare di essere quella che sono? Quale fantomatico imbroglio volete evitare con la revisione annuale della certificazione? Chi ha perso definitivamente la vista può forse guarire? A che serve un certificato annuale? Volete girare il dito nella nostra piaga? Volete aggiungere alla nostra sofferenza quotidiana, ed ai risvolti psicologici della stessa, anche il disturbo e l’onere (fisico ed anche economicamente importante) di recarci presso uno o più studi specialistici, ovviamente in libera professione, visti i tempi elefantiaci del SSN? Non spendiamo abbastanza denaro per ottenere le cure palliative spesso non esenti? Volete forse il copia e incolla in carta fresca (che spreco) che vi esonera annualmente da ogni responsabilità?

Sono una dipendente con molte malattie croniche e degenerative e non guarirò MAI, anzi, ultimamente non vedo che peggioramenti della mia condizione di salute.

Non desidero che questa richiesta sia solo ed esclusivamente personale, no. Non è così che funzionano le cose per me. È una questione di principio, di giustizia sociale.

Termino, scusandomi ancora una volta per il dilungarmi, nel tentativo faticoso di esplicare una cruda realtà.

Se non avete capito fin qui ciò che ho scritto, concludo informandovi che l’unica condizione che può far cessare uno stato di cronicità, è la morte del malato. Fintanto che non vi viene presentato il certificato di morte del lavoratore malato cronico, state tranquilli, è quantomeno invariabilmente malato.

Rosaria Mastronardo

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