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Intramoenia: risorsa o potenziale fonte di illegalità?

Premessa: Che cos’è la Libera Professione Intramoenia (o Intramuraria)

E’ l’attività libero-professionale svolta da un professionista, singolo o in équipe, della dirigenza medica e sanitaria, che sia dipendente da un’azienda sanitaria o ospedaliera o sia uno specialista ambulatoriale convenzionato e che abbia optato per lo svolgimento delle attività libero professionali esclusivamente presso le strutture aziendali. Le prestazioni sono svolte al di fuori dell’orario di lavoro, di norma negli spazi appartenenti all’Azienda, ed erogate a totale carico del cittadino, secondo tariffe mantenute entro valori massimi accettabili in ambito di Azienda pubblica del Servizio Sanitario Nazionale.

Attività libero professionale ambulatoriale: comprende visite specialistiche, prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio, prestazioni terapeutiche, riabilitative e interventi chirurgici ambulatoriali già resi in regime istituzionale dall’azienda in quanto previsti nei livelli essenziali di assistenza.

Attività libero professionale in regime di ricovero: comprende le prestazioni erogate in regime di ricovero di elezione, comprese anche prestazioni in day-hospital e in day surgery, già rese in regime istituzionale dall’Azienda.

Le tariffe per le prestazioni libero professionali, a carico dell’utente richiedente la prestazione, sono comprensive del compenso del professionista (o dell’équipe nel caso di prestazioni rese in regime di ricovero) negoziato con l’Azienda, della quota destinata all’Azienda e dei costi sostenuti dall’Azienda per l’erogazione della prestazione stessa.

Il problema

L’attività libero-professionale intramoenia, nata come risorsa aggiuntiva del servizio sanitario pubblico, da un lato deve valorizzare la professionalità di chi opera all’interno del servizio, dall’altro deve offrire al cittadino una opportunità di scelta del professionista a cui affidare la propria salute, all’interno delle strutture pubbliche che garantiscono adeguatezza, efficienza e sicurezza.

Si è purtroppo verificato in molti casi che il ricorso all’attività libero-professionale intramoenia ha causato distorsioni al sistema, in primis per la gestione delle liste di attesa.

In molte aziende la connivenza tra gestori del sistema sanitario pubblico e diversi professionisti ha tentato il dirottamento dei servizi istituzionali dal pubblico al privato, rendendo di fatto inaccessibili ai più i servizi stessi, dilatando al massimo i tempi di attesa per accesso alle prestazioni di diagnosi e cura, indirizzando l’utenza a ricorrere alle prestazioni libero-professionali, con i costi a carico del cittadino, già gravato dai supertickets e da una progressiva restrizione delle prestazioni garantite dal SSN. Tutto ciò comporta la necessità di un accesso a pagamento per ottenere in tempi ragionevoli quelle prestazioni che dovrebbero essere garantite al cittadino gratuitamente.

Questi meccanismi portano a trasformare una risorsa di assistenza che dovrebbe essere un’opportunità di scelta dei cittadini in una potenziale fonte di illegalità all’interno del SSN. Senza ovviamente generalizzare, perché non è vero che vi sia una equazione ‘libera-professione=illegalità’, purtuttavia un’ampia casistica di segnalazioni sulla gravità del problema è diffusa in tutto il territorio nazionale, ed è materia quotidiana di discussioni.

Il problema emerge anche dai dati del Pit Salute: il 9% delle segnalazioni (contenute nel rapporto del 2015) riguarda la libera professione intramoenia, in quanto si determinano gravi ripercussioni per i cittadini (non solo da un punto di vista economico, ma anche come vero e proprio rischio per la salute dovuto alla forzata rinuncia alle cure). La questione della libera professione intramoenia è stata posta in discussione anche nel recente congresso nazionale di Cittadinanzattiva a Fiuggi, ed è stata persino inserita dal Governatore della Regione Toscana Enrico Rossi nei mesi scorsi al centro del suo programma politico, sollecitando un’ipotesi di abolizione dell’istituto della libera professione, per far cessare – a suo dire – la discriminazione nel servizio sanitario tra chi può pagare e chi no. Ovviamente molte voci contrarie all’abolizione della libera-professione intramoenia si sono levate, a partire dalla Federazione degli Ordini dei medici e dai sindacati di categoria.

Ma, partendo dalla osservazione di carattere generale che, se una cosa buona esiste, questa va conservata e fatta funzionare, mentre se si corrompe con il tempo, se ne devono riconoscere le ragioni e si deve porvi rimedio, riteniamo che la libera professione intramoenia debba essere mantenuta, ma che vi sia l’assoluta e urgente necessità di una sua regolamentazione, della sua rendicontazione e di trasparenza nella sua applicazione.

Perché? Oltre il Dls 33 2013. Trasparenza dei dati clinici integrati (con estensione alle attività libero-professionali)

Nell’ottica della legge già approvata alla Camera, che tante discussioni ha suscitato, sulla Responsabilità sanitaria e nell’ottica dello sviluppo di una tessera sanitaria elettronica che dovrà contenere tutti i dati clinici del cittadino, essendoci stato richiesto nei mesi scorsi dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di fornire un contributo per la organizzazione della Giornata della Trasparenza 2016, si è preso spunto da quanto previsto al paragrafo 2.1 (Vision) del Progetto Accoglienza della AOUC e dall’esperienza derivata negli anni più recenti dalle segnalazioni dei cittadini al Tribunale per i Diritti del Malato di Firenze.

Si ribadisce la fondamentale importanza del bisogno di informazione che proviene dalla cittadinanza, fondamentale non solo per garantire un corretto orientamento tra i servizi, ma anche come strumento educativo all’uso dei servizi stessi, e dunque promuovendo – attraverso una partecipazione consapevole – valori di responsabilità e coesione sociale.

La stessa esperienza maturata attraverso le segnalazioni giunti alla sede di Firenze del Tribunale per i diritti del malato, che riconosce nei difetti di comunicazione e di informazione tra strutture e professionisti della salute da un lato e cittadini (pazienti e familiari) dall’altro una delle più frequenti cause di presunta ‘mala sanità’, fa emergere l’importanza della questione.

Perché andare oltre il Dls 33 2013?

Oltre alla fondamentale questione della trasparenza e dell’accessibilità delle liste di attesa, uno dei punti critici è la trasparenza dei dati clinici. Se per quanto riguarda la documentazione relativa alle prestazioni eseguite nelle strutture sanitarie, in regime di ricovero ‘ordinario’, al di là di quanto prescrive la legge sulla trasparenza, che è incentrata sulle procedure amministrative e sui profili dei dirigenti, la situazione può essere considerata in genere accettabile, le Aziende sanitarie e ospedaliere che autorizzano la libera professione intramoenia dovrebbero attuare una rigorosa regolamentazione di tale attività,  anche per quanto riguarda l’obbligatorietà della registrazione e conservazione dei dati clinici, valutando comunque quali possano essere gli strumenti a garanzia della privacy e delle modalità di preservazione dei dati sensibili derivati dalla libera professione, consentendo quindi al cittadino che  faccia richiesta all’Azienda della documentazione sanitaria che lo riguarda, di ottenerla in modo completo, comprensivo anche di tutte le prestazioni libero-professionali  eseguite all’interno dell’Azienda, senza ‘vuoti’ dovuti a un accesso frammentato alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche.

Il particolare momento socio-economico comporta sempre più spesso la frammentazione dei percorsi diagnostico-terapeutici (sistema sanitario nazionale, libera professione intramoenia, accesso presso strutture convenzionate, prestazioni extra-regione, ecc.), determinando un aumento della complessità dei processi da gestire.  La fondamentale attenzione che le aziende sanitarie e le regioni dovrebbero portare verso la prevenzione del rischio clinico potrebbe essere vanificata se non vi fosse completezza delle informazioni, che il cittadino non è in grado nella maggior parte dei casi di comunicare in modo totalmente comprensivo ed efficace ai professionisti che prendono in carico la gestione della sua salute. Questa è anche l’ottica della previsione di sviluppo della tessera sanitaria elettronica: è tuttavia chiaro che se i dati sanitari in essa contenuta non sono completi e corretti, tale strumento – anziché uno strumento migliorativo –  rischia di rivelarsi un ‘boomerang’.

La regolamentazione della raccolta e della conservazione dei dati clinici delle prestazioni libero-professionali (non solo nelle fasi di ricovero, ma anche relative alle attività ambulatoriali) può consentire, oltre a una più precisa rendicontazione delle attività e dei servizi forniti all’interno delle aziende stesse, una informazione completa per i professionisti sanitari che operano all’interno delle aziende, utile per consentire maggiore appropriatezza, maggiore efficacia e minori sprechi nelle prestazioni erogate.  Già nel 2013 il Ministero della Salute prevedeva l’attivazione di un’infrastruttura di rete telematica per il collegamento in voce o in dati delle strutture che erogano le prestazioni libero-professionali intramurarie per gestire prenotazioni, impegno orario del medico, pazienti visitati, prescrizioni ed estremi dei pagamenti, anche in raccordo con il fascicolo sanitario elettronico.

E’ cosa ripetutamente segnalata che la documentazione delle prestazioni sanitarie libero-professionali non sempre giunge in modo qualitativamente e quantitativamente adeguato a chi dovrà farsi carico della cura della salute del cittadino, quando egli debba ricorrere a ulteriori prestazioni in tempi successivi. Da ciò possono derivare situazioni di aumentato rischio di errori o comunque di inappropriatezza.

Inoltre, la documentazione integrata delle prestazioni istituzionali e di quelle libero-professionali può garantire maggiore tutela del cittadino in quelle situazioni in cui sarà a suo carico l’onere della prova per il riconoscimento di eventuali episodi di ‘malpractice’. E indirettamente le stesse aziende sanitarie ridurranno il rischio a proprio carico del dovere rispondere a richieste di risarcimenti dovute a comportamenti non appropriati di singoli professionisti, senza possibilità di rivalsa quando risultino documentate gravi responsabilità individuali.

E’ altresì noto come la non corretta compilazione e tenuta della documentazione clinica sia tra le più frequenti motivazioni di sentenze di condanna in sede giudiziaria.

Infine, trasparenza è sicurezza. Come anche previsto  nel dispositivo del Ddl sulla responsabilità delle strutture sanitarie,  per i cittadini che hanno bisogno di cure è importante accedere in modo agevole a tutte le informazioni inerenti volumi di attività ed esiti, attività di prevenzione e gestione del rischio clinico, nonché indici di sinistrosità delle strutture e dei professionisti. Ciò non è un atto straordinario ma un obbligo previsto dalla Direttiva 2011/24/UE sull’assistenza transfrontaliera e diritti dei pazienti, recepita con Decreto legislativo n. 38 del 4 marzo 2014, ancora ad oggi disatteso. Peraltro possiamo contare sui dati del Piano Nazionale Esiti di Agenas, ancora non fruibili da tutti i cittadini, che nel 2017 dovrebbe analizzare anche i dati per singolo professionista.

Modalità operative

Si propone di istituire, per valutare l’opportunità di confronto su questi argomenti , un tavolo di lavoro a cui partecipino le varie figure coinvolte, sia ai livelli nazionale che regionali, e quindi locali (le direzioni aziendali, le professioni sanitarie, i responsabili dei settori medicolegale, del risk management e della trasparenza, gli ordini dei medici, le organizzazioni di tutela dei cittadini).

 

Franco Alajmo
coordinatore regionale per la Toscana
della rete del Tribunale per i diritti del malato

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